A little less conversation (a little more action, please)
Di improvvisazione, cani e peperoni ripieni: un breve racconto agitato.
E così all’improvviso sono chiuso nel recinto di un lupo cecoslovacco, con il suddetto lupo cecoslovacco anch’esso dentro.
Anni fa studiavo improvvisazione. Ad un certo punto, mi sono ritrovato a fare un esercizio basato sul monologo. Con tutti gli altri studenti di improvvisazione seduti a mo’ di audience, avevi da monologare senza soluzione di continuità: i tuoi colleghi avevano facoltà di alzarsi e abbandonare le schiere del pubblico nel momento stesso in cui il tuo monologo li avesse delusi/annoiati/schifati/eccetera.
Alcuni monologhi duravano poche decine di secondi e ti sentivi male per chi era sul palco, altri toccavano i cinque minuti, ben pochi andavano oltre.
Vedere le persone via via alzarsi e allontanarsi, come si può immaginare, era piuttosto demoralizzante: ti faceva perdere il flow, faceva vacillare la convinzione delle tue parole, tentennare il tuo tono, ti imponeva di tentare di aggiustare la direzione del racconto o, peggio, di mettere pezze o sopperire con battute o facilonerie retoriche che - chiaramente – sortivano l’effetto opposto.
Io sono andato avanti un bel po’ a parlare, la platea quasi integra per i nove forse dieci minuti del mio rocambolesco (e iper-alcolico) racconto di un rifiuto amoroso.
Ma una cosa mi aveva colpito. Al debrief, il primo che si era alzato mi aveva detto: quando hai nominato la marca della birra che hai bevuto, mi è sembrato fuori luogo, non lo so… una stonatura, come se volessi fare il figo, il Bukowski di turno.
Avevo nominato la Tennent’s per sottolineare la costruzione del grado etilico della storia. Avrei potuto dire “ho bevuto tre birre”? Certo. “Tre birre doppio malto?” forse, anche, perché no.
Comunque boh: ci penso ancora, ogni tanto, a quell’episodio, soprattutto quando scrivo.
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La razza lupo cecoslovacco è nata dall’incrocio del cane da pastore tedesco con il lupo dei Carpazi. Il suo carattere viene descritto, tra le altre cose, come esuberante, vivace, giocherellone.
In ogni caso lo guardi, e vedi un lupo.
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Ai fini di questo racconto, invece, la specificazione della razza del cane è fondamentale, così come lo è una vignetta che mi ha girato il Padrone di Casa, il quale, incidentalmente, è anche il Padrone del Cane (da ora, PdC, leggi qui per altre implicazioni di questa sigla). Nella vignetta ci sono le reazioni del lupo cecoslovacco ai cosiddetti comandi base: Seduto, e c’è la sagometta del cane immobile; Terra, sagometta immobile; Vieni, sagometta immobile; Riporta, sagometta immobile.
Stai, non c’è la sagometta.
Fa ridere perché è anche un po’ vero.
Un po’ più di “un po’”, in effetti.
La specialità del Lupo Cecoslovacco del PdC (da ora, LC) sono gli Abbracci Affettuosi della Morte: alto sulle zampe posteriori, quelle anteriori sparate avanti, muso pronto a dare affettuose leccate, denti che ti tastano giocosamente l’avambraccio se solo riesce ad agguantarlo, avvolgendolo con le ganasce. Quando lo fa, tartufo e lingua mi arrivano tranquillamento ad altezza occhiali.
Fatto sta che una sera ci viene chiesto di badare all’LC – recuperarlo dal salotto di casa del PdC, fargli fare una passeggiata, metterlo nel box in attesa del ritorno del PdC; e nonostante l’LC ci conosca, beh: ci sono concitati momenti di panico, con noi che, appunto in salotto, tentiamo di ridurlo a ragione per potergli agganciare il guinzaglio. La scena è qualcosa tipo il secondo Alien – “esce dal fottuto divano!” – con una lingua lunghissima che svola da tutte le parti, gli Abbracci della Morte, fiotti di saliva, il tavoletto sul quale stanno computer e stampante che per tre volte rischia il capottamento.
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Stiamo bevendo una birra sul Piccolo San Bernardo, dopo una gita, qualche giorno dopo lo svolgimento di questo racconto. LC semina il panico nel locale con la sua sola presenza, sbatte con il testone contro il tavolo, ringhia ai camerieri, fa impazzire il PdC mentre questo tenta di mangiarsi una pizza in santa pace.
Uno dei compagni di gita mi fa: quelli della DDR usavano cani così per pattugliare il loro lato del Muro.
È serissimo mentre lo dice.
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A proposito della gita di poche ore prima. LC ci supera, in salita, e si proietta contro un escursionista transalpino: fa per impennarsi in un Abbraccio Affettuoso della Morte ma in realtà si mette soltanto - soltanto? - a saltellargli attorno. Il francese alza un paio di molli jazz hand ed esclama un divertito Il m’attaque, le loup!, con una risatina finale che chiaramente sottostima un pericolo dato non solo dal saltellare di LC, ma anche dagli oltre tremila metri di quota rocciosa e sbriciolosa sui quali ci troviamo.
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Sarà S. a riuscire ad agganciare il guinzaglio.
La passeggiata è facile e bella. Certo, per tutta l’ora e mezza di passeggiata io, che inavvertitamente sono uscito con le birkenstock, rischio la morte per scivolamento e trascinamento su ghiaia; ma la valle, sotto di noi, che gradualmente si fa scura mentre spuntano le luci dei paesi e le cime fanno per confondersi con il cielo, è meravigliosa.
LC tira nel fresco della sera, segue i suoi percorsi lungo i sentieri dietro casa, si appassiona ad un odorino o ad un legnetto, ci porta attraverso le vigne – dove en passant azzanna alcuni graspi - poi su fino alla borgata sovrastante la nostra, poi giù ancora, e infine di fronte alla porta del box.
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In via teorica, la successione delle operazioni è semplice:
lanciare nel box il peperone ripieno, cioè un aggeggio di plastica rossa contenente un piccolo quantitativo di carne macinata > attendere che LC si proietti nel suddetto box > togliergli il guinzaglio mentre è sulla porta > chiudere la porta con i tre fermi > fatto.
Ma – domanda – come fare a sganciare il guinzaglio dal collare di LC quando questo, prima ancora che il peperone ripieno abbia concluso la sua parabola volante, ha con molta probabilità iniziato a tirare con la forza di mille locomotive verso l’interno del box?
Lo scopriremo solo al lancio del peperone ripieno.
Così facciamo un conto alla rovescia di tre, il peperone ripieno vola nel box, LC inizia a tirare con la forza di mille-e-una locomotive, il guinzaglio mi fa volare dietro ad entrambi e sento uno scatto alle mie spalle e sono dentro al box: S. ha chiuso la porticina dietro di noi, e ci tengo a questo punto a far notare che il box, pur essendo alto due metri buoni, ha pure il tetto, perché il lupo cecoslovacco altrimenti lo scavalca.
E i fermi sono tre perché altrimenti esce.
Non mi resta che cimentarmi nell’atto di sganciare il guinzaglio dal collare di un lupo cecoslovacco che sta mordicchiando un peperone di plastica ripieno di carne macinata vera.
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Sono vivo per raccontarla, e quindi tutto bene.
S. ed io andiamo a letto con la stessa fatica nelle gambe e nelle braccia che se avessimo fatto la ferrata del crestone ovest dell’Emilius (3559 metri), e ci addormentiamo subito.
Senti come è buono il peperonee… PAM!