Volevo scrivere di Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni.
Ricavato da 100 pagine di diario scritte nella luce arancione di una tenda da trekking scossa dal vento, filtrate a distanza di dieci anni e poi lavorare espanse e infine cesellate durante il primo lockdown; le stesse proporzioni del negroni, un terzo resoconto, un terzo romanzo, un terzo guida; autoprodotto, perché letteralmente mi scottava tra le mani.
Il libro di trekking del quale più di qualche persona mi ha detto mi sono innamorato di un personaggio secondario.
E niente, il movente di questo numero di Incudine è che venerdì 27 ottobre presenterò Attraverso nella mia città: finalmente, dato che per ora le presentazioni si sono svolte in Friuli e in Piemonte. Non Nemo profeta in patria, piuttosto te si sempre via, Xàmbon.
Il luogo è la Libreria Pangea (via SS Martino e Solferino 106, Padova), che è il top per viaggi, montagna, geografie e mappe.
Fammi un fischio qui se pensi di venire. Si finirà a spritz e discorsi di letteratura e viaggi e montagna.
E magari anche heavy metal, dato che mi sono appena reso conto che oggi sono trent’anni di Heartwork dei Carcass e, non pensavo, ma sono emozionato. Trent’anni.
Detto questo: un quasi inedito[1], e ciao.
Islanda: un sentiero, quattro pietre, infiniti passi
Una delle carriere più redditizie, nell’Islanda dei tempi che furono, era quella dell’andar per mare. Tuttavia, per ottenere il diritto di salire su un peschereccio, avresti dovuto previamente cimentarti nel sollevamento di quelle quattro pietre che ancora oggi sono adagiate sulla morbida rena dello Djúpalónssandur, all’ovest. Se fossi riuscito a sollevare solamente la pietra Amlóði, Inutile, di 23 chili, ti saresti guadagnato la derisione degli Uomini Veri e un biglietto di ritorno per il pidocchioso e freddo villaggio circondato dalle paludi dal quale speravi di affrancarti. Hálfdrættingur, Deboluccio, di 54 chili, Hálfsterkur, Mezzoforte, di 100, e Fullsterkur, Forte, 154 chili, ti avrebbero invece assicurato l’agognato posto a bordo, e percentuali crescenti del bottino di pesca.
Insomma: tanta più forza fisica avessi potuto esprimere, tanto più ti saresti allontanato dalla deprimente vita pastorale dell’interno, dalla morsa dei debiti, dalle stagioni fatte di un susseguirsi totalizzante di ghiaccio, nebbie, pioggia e pecore malaticce, così come descritte dal fin troppo vivido Halldór Laxness.
E adesso, camminiamo.
*
Superato quello che secondo la carta è l’ultimo guado della giornata – e che guado!: intenso, rivelatorio, fiaccante, con l’acqua torbida a muoversi veloce attorno alle cosce, i bastoncini che pescano male sul fondo di ciottoloni, la riva opposta che non arriva mai. Comunque: passato a fatica il Bergvatnskvist, srotolate le gambe dei pantaloni, rimessi gli scarponi: cammino. È la sesta ora di marcia, adesso, e ogni passo stanco e meccanico sprofonda di cinque centimetri, religiosamente, nello sbriciolìo di polvere e roccette aguzze di questa infinita tavola da biliardo geologica.
Dalla sua posizione sulle spalle lo zaino, con i suoi 23 chili di schiacciante forza di gravità, mi rende perfettamente inutile. Il grosso delle mie energie sono consumate per contrastarne il peso.
Un vento omnidirezionale mi preme contro il viso e la gola, mi sbilancia, mi trattiene dal cadere: mi sballotta e mi tiene immobile allo stesso tempo.
Nella testa un enorme, avvolgente, hálfsterkur sentimento di chi me lo ha fatto fare. Ma sono parole non pronunciate, fiato che non è passato attraverso una gola che da un paio d’ore è evidentemente più calda rispetto al resto del corpo, comunque rovente anch’esso.
Arriviamo dove la pista si biforca in un incrocio a T da manuale. Verso sud, la nostra direzione, l’orrido Sprengisandur: nel medioevo troll, spettri e la morte in persona ti avrebbero seguito, provando a ghermirti con le loro mani avide. Magari non ci credevi, a queste favole da creduloni, magari maffigurati: ma avresti comunque lanciato il tuo cavallo a briglia sciolta perché non si sa mai, l’avresti spronato a sangue, l’avresti fatto arrivare quasi morto al sud pur di uscire il prima possibile da quel deserto di roccia schiantata, polvere e visioni.
Decidiamo di fermarci per la notte poco oltre l’incrocio. Ci sono volute due ore e mezza per percorrere gli otto chilometri di piana desertica.
Guardo la lamina del lago color tiffany perlaceo tagliare a metà l’orizzonte: il suolo grigio marrone sotto, la montagna trapezoidale e scavata da infiniti canaloni, sopra. Il cielo è, per colore e densità, piombo. Sulla cima piatta della montagna troneggia un ripetitore della telefonia. Dietro di noi, poco distante, un convoglio di fuoristrada sprizza sassi e terriccio da sotto le ruote: hanno appena preso verso sud, tempo di un’ora saranno a Nydalur, al rifugio. Doccia calda e ritemprante, cena calda e abbondante, letti dai materassi morbidi.
Mi tolgo faticosamente lo zaino dalle spalle e mi ci accascio sopra, saturo di sensazioni tutte ugualmente intime e parimenti confuse. Tanti avverbi, ma è la confusione.
Sgancio la sacca che contiene i teli della tenda e la porto a Marco, che ha già sfilato la paleria dal suo, di zaino. Gli faccio un cenno che dice che arrivo, ma mi serve un attimo. Deboluccio mi descrive bene: torno ad accasciarmi.
Abbiamo trovato questa depressione nera di limo glaciale, sessanta centimetri di conca sotto il livello della piana illimitata appena percorsa. Sembra un posto protetto dal vento: forse dormiremo senza troppi sbatacchiamenti di tenda a disturbarci.
Chiudo gli occhi qualche minuto. Marco ha quasi montato la tenda: gli do una mano per gli ultimi ritocchi, ho i punti di contatto dell’accasciamento – avambracci e gomiti, culo, dietro-delle-gambe – sporchi di limo nero.
Ceniamo. Mi imbottisco di tachipirine per tentare di sedare la gola, scrivo sul diario. Poi sono dentro al sacco a pelo che guardo il soffitto della tenda, sono le undici e mezza passate – mi sento stranamente vispo, anche perché la luce arancione che filtra dalla tenda è pressoché diurna, eppure temo il formarsi di un raffreddore catastrofico, così in definitiva non riesco a dormire, mi prende l’ansia dei vestiti zuppi di sudore che nella notte non si asciugheranno, mi preoccupa il disagio che proverò domani quando me li metterò addosso, attillati per l’umidità, e c’è lo spauracchio contingente del finire-l’-acqua-durante-la-notte: dannazione – mi dico - dovevo prenderne di più al lago azzurro tiffany perlaceo: anzi, il pensiero sul quale mi fisso è proprio questo. Anche perché stanotte tocca a Marco dormire dalla parte dell’uscita della tenda, e rompere il sonno del compagno-di-avventura per andare a prendere l’acqua è un no-no.
*
L’indomani, a Nydalur, incontreremo di nuovo V., il minuto neozelandese che sta traversando in solitaria, il quale ci dirà che sì, aveva visto quella depressione, ma aveva pensato che ci saremmo stati meglio noi, evidentemente affaticati, e aveva quindi proseguito per alcuni altri chilometri, arrivando a piantare il suo campo base nel cuore di una temibile nuvola di moscerini glaciali incazzati.
È evidente: la portata epica di V., a differenza della mia, è fullsterkur, e sul peschereccio si meriterà i merluzzi migliori.
Note.
[1] Questo inedito un po’ compendia il libro, ed era uscito nel 2022 su una rivista online specializzata in viaggi a piedi. Dato che la rivista non esiste più - nemmeno quella cartacea, della quale l’online era costola - lo recupero, rivedo, e salvo qui.
23 chili, Amlóði, li pesava davvero, il mio zaino.
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono cinque notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
In questo momento sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram.
Per i miei servizi di ghostwriting, scrivi a davide@davidezambon.it
Al momento, non ci sono news né sono previsti incontri.
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Sono andato in Islanda due anni fa e me ne sono innamorato.
È un posto magico.
Vivo a Milano e non riuscirò ad eseere a Padova ma penso che prenderò il tuo libro.
Ciao Davide sono la mamma di Caprazoppa e ti seguo sempre, mi piace leggerti, la scrittura è davvero efficace e ben condotta in ogni aspetto...continua così