Io e la mia app per tracciare le gite
Siamo uomini con la scorza e non piangiamo mai, ma una pacca sulla spalla qualche volta no?
Ciao, sono Davide.
E possiamo parlare tantissimo dell’importanza del sostegno che gli altri ci danno, che il mondo esterno di dà; eventualmente, anche del sostegno delle cose inanimate, che ce ne sarebbe sempre bisogno.
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Grazie per essere qui, e buona lettura.
Io e la mia app per tracciare le gite
1.
Ad un certo punto, aggiornano le app.
2.
Sto camminando - no: sto correndo.
Mi sono preso la mattina per fare un giro, un giretto, una gitina. Poca roba, vedere se posso arrivare in cima al San Cassiano partendo dal lago, poi al massimo girottolare lì in alto e tornare giù. Come ogni volta succede, invece, ho camminato stato in meraviglia e pensieri e senza fatica, ho svuotato la testa e poi l’ho ri-riempita, sono stato dentro gli auricolari del death metal e i riff hanno rivestito le montagne attorno a me di ricordi, hanno sedimentato il mio itinerario nel punto giusto del mio cervello, mi hanno raccontato cose e hanno spremuto idee fuori da me; ho percorso sentieri che-solo-io; mi sono immesso su cime ingolfate e sentieri frequentatissimi, per subito subito dopo deviare giù sulla sinistra perché mi sono fidato della carta e delle mie gambe e mi sono ritrovato su altri sentieri che-solo-io, e ora sono venti chilometri che cammino e anzi: sto correndo perché avevo detto che sarei stato a casa forse già due ore fa, non ricordo.
Al lago, gli alberi d’autunno si riflettono sull’acqua, e al centro il riflesso si mescola con quello dell’altro versante, un campanile bianco come un gessetto e dritto come un dito attraversa le foglie arancioni, rosso fuoco, gialle. C’è un’ultima collinetta da scavallare e appare l’auto, quieta al suo parcheggio.
Ventidue chilometri, 1200 metri di dislivello. Rallento gradualmente il mio piccolo trotto e mi avvicino all’auto che ho il telefono in mano e sto seguendo la familiare procedura di chiusura e salvataggio della traccia che ha seguito le mie voglie di esploratore.
Ok. Sì, è escursionismo. Sì, il sentiero era bello. No, le foto non servono. Ok ancora.
Procedura finita.
Premo il pulsante sulla chiave dell’auto, le serrature scattano, con la coda dell’occhio vedo una schermata sull’app. È nuova, la leggo.
Bravo! Per mantenere lo slancio di questa settimana, domani fai quindici minuti di camminata!
3.
Dentro l’app - la stessa di cui sopra - ci sono 600 tracce, tutte percorse dai miei piedi scalpitanti negli ultimi quattro anni. Lo scorso anno (quello dell’episodio di cui sopra) ho salito centomila metri di dislivello.
L’anno prima, pure.
E allora perché domani, per mantenere questo fantomatico slancio, non mi prendo un momento per fare quindici minuti di camminata?
Vivaddio l’intelligenza artificiale, gli algoritmi, la personalizzazione, la gamificazione. Preferirei meno, ma del quale davvero farmene qualcosa.
4.
Inizio marzo. È un Abruzzo di neve molle, nella quale si sprofonda poco volentieri, infastiditi, fino alle ginocchia e più su.
Stiamo scendendo da un monte che per arrivarci è lunga, lunghissima. A metà ritorno ci dividiamo, ognuno seguendo la propria idea di prendere una scorciatoia. L’ultima, eterna sterrata camminiamo a coppie, poi soli, poi in gruppo, poi in silenzio.
Alle auto, si chiudono e si salvano le tracce.
Telefoni, app, smartwatch, dispositivi satellitari d’emergenza, gps tradizionali, altimetri, barometri, cordelle metriche, portolani, antiche cartografie ottocentesche, rilievi catastali, la Tabula Peutingeriana, appunti presi su quaderni da campo, calcoli a spanne (proprio con la mano allargata), vaghe stime - tutti coincidono: diciassette chilometri, milleduecento di dislivello.
Il monte che abbiamo salito non è mai stato così chiaro, definito, univoco.
Tranne che per la mia app. Secondo la quale, di dislivello, sono mille e dieci.
5.
La mia app è David Goggings che vorrebbe spronarmi a fare di più, ma l’unico modo che ha per farlo è farmi credere che non ho fatto abbastanza.
Il che, per un insicuro come me, è la morte sua.
6.
Ogni volta è così. Il calcolo che la mia app fa del dislivello che percorro è deficitario di un buon cinque, dieci percento.
Ora, le mie gambe vanno e questa discrepanza non la sanno - alle volte la immaginano, forse - ma la mia posizione di blogger di montagna, scrittore di escursioni, dispensatore di gite, praticante della montagna, cammina sul filo di rasoio della credibilità.
Secondo la mia app, il percorso che faccio sulla lama è comunque più corto.
Mi tocca controllare e ricontrollare ogni dato che scrivo o che do alle stampe; mi tocca verificare sulla carta topografica quello che salta fuori quando con i compagni di escursione ci si confronta sulla gita appena fatta. E alla fine, una parte di me la butta sul vago e sulle gambe di cui sopra (quelle che non se ne accorgono) e dice massì, saranno così-e-colà metri di dislivello; ma purtroppo non posso, e mi sento in colpa ogni volta che lo faccio.
Così esprimo una misura - sia su carta, schermo, o in conversazione - ma mi tocca controllare la traccia rossa, vedere le isoipse che attraversa e le rampe che affronta e le conche nelle quali si infila, e stimare l’errore dell’app. Che poi la traccia se ne sta comunque bellamente su una cartografia corretta e allora - mi dico, ovvero si dice il Davide cartografo - perché il dislivello lo calcola così a-cazzo?
7.
Il figlio decenne - diecenne? decennale? deca? - di una coppia di amici è in fissa con la mitologia greca, e ogni volta che incontra qualcuno chiede ma tu, che figura mitologica greca vorresti essere?
Io rispondo che vorrei essere Zeus, ma chissà perché mi tocca sempre Sisifo.
8.
Mi hanno detto che l’intelligenza artificiale e gli algoritmi mi avrebbero reso la vita più facile, e alla fine viene fuori che mi tocca camminare di più, ma senza riceverne il giusto riconoscimento.
9.
E l’app parla. Decurta e parla. La fa corta, e mi dice di mantenere il mio slancio.
Continuo a salire montagne, fare anelli ampissimi, prendere varianti e deviazioni, salire cime extra. Ogni volta studio le relazioni e le carte, carico le gambe per - che ne so: sedici chilometri, milleduecento di dislivello; poi l’escursione finisce e spengo l’app, e non solo l’escursione è più corta e il dislivello più modesto (l’aggettivo dice tutto), ma anche
A questo punto, potevi startene direttamente in divano. Domani fai quindici minuti di camminata per mantenere il tuo slancio!
Mi scapicollo lungo il versante sud del Monte Avena per allenare una gara di corsa in montagna, sputo fiele e rotule, mi riempio le gambe di zecche e impreco e mi chiedo chi me l’ha fatto fare, e
Beh ma la prossima volta noleggia un monopattino elettrico, no? Almeno mantieni il tuo slancio.
Concateno creste, salgo e scendo canaloni, faccio due gite in un giorno.
[Sbadiglio] Domani facciamo qualcosa degno di essere segnato o proprio niente, nada, niet?
E via così.
10.
La mia app è un David Goggins baro e passivo-aggressivo che vuole discreditarmi attraverso l’imprecisione.
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter. Sto lavorando ad alcuni articoli.
In questo momento sono a Pedavena (BL).
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!