Ciao, sono Davide.
Scrivo questa cosa dopo averla tenuta in testa per dieci giorni non per sedimentarla (come si potrebbe e dovrebbe fare), ma perché altro è arrivato come un’onda a prendersi la mia attenzione, il mio lavoro e quella stessa parte di testa. Quindi la cosa originaria - che già si era gonfiata e stava spingendo da dentro contro le cuciture; che premeva per scoppiare fuori ed essere messa su carta - ha rischiato di essere infiltrata, contaminata, sovrapposta e infine dimenticata.
Ohi che difficile tenere traccia di tutto; ma ci si prova, con fiducia e dita che, quando arrivano sulla tastiera, provano ad essere il più possibile veloci.
Trovi tutto quello che devi sapere su di me e su questa newsletter in basso, dopo il pezzo di oggi. E mi fa piacere se ti iscriverai o condividerai Incudine: trovi gli appositi pulsanti strada leggendo. Uno, per dire, è questo:
Grazie per essere qui, e buona lettura.
Memoria e camminare
E (quasi; in realtà siamo arenati alla partenza) via con il terzo giorno di cammino - il terzo di undici previsti - e con lo zaino in spalla e le scarpe già calde e il sole che già picchia sulla testa e venti chilometri davanti; da dentro il bar di Sant’Angelo Le Fratte (PZ) esce fuori She comes in colors dei Rolling Stones e non mi si staccherà più dalla testa per cinque giorni, cioè finché qualcosa d’altro - un cambio geografico, soprattutto, e un diverso peso dello zaino, e un nuovo lavoro da pensare - non travolgerà ogni cosa io stessi tentando pazientemente di cucire insieme: per capirlo.
Salendo il giorno precedente - quindi il secondo giorno di cammino - per arrivare a questo stesso bar, avevamo spinto sulle gambe, indifferenti a salita, scalini, incertezze di orientamento; eravamo in quel boresso bello, volevamo arrivare primi sul gruppo ma anche mettere le mani - le labbra - sulla birra, perché il sole già da ore ci stava lessando i cervelli. Per fare gli ultimi metri ci siamo incanalati su per uno stretto vicolo a scalinata, con in alto una figura bianca a ingombrarne l’uscita: era una scultura, una statua di pietra chiara raffigurante la Quaresima: una donna vestita a lutto, il volto inespressivo, che sulla testa porta la culla che contiene il corpicino senza cita del Carnevale che se ne è appena andato.
Se n’è andato il Carnevale e se n’è andata la compagnia o qualcosa di simile, recita una canzone popolare.
Ma io venivo in colori, avevo dietro di me la scia della vegetazione prorompente nella quale avevo camminato per chilometri, e in quel verde intenso e gonfio di vita avevo visto fiori mai visti; e in quella marea verde di foglie, rovi, peduncoli, c’era tutto il mio camminare - così tutto che facevo fatica ad alzare la testa dal suolo, il campo visivo forzato a prendere quanto più possibile il gonfiore vegetale ai bordi.
Verde che poi s’allargava, si insinuava sul percorso, mi si intrecciava davanti, mi obbligava ad alzare di più i piedi, mi faceva inciampare.
*
Non riuscire a sedimentare, pensare, ordinare (e possibilmente scrivere) è per me male, malissimo; mi dà il senso dell’annacquarsi delle cose, di percepirle che si modificano per colpa di una memoria fallace e nella quale non può esserci spazio per tutto; le sento che scolorano, virano, perdono pezzi che non ritroverò mai più.
Ma se fai un cammino di gruppo e poi un altro cammino, se la mattina alle sei devi svegliarti per lavorare un pochino, se quando arrivi devi fare il content e poi andare a cena e poi dormire perché altrimenti i 20-25 km del giorno altrimenti chi li fa?, il tempo per sedimentare e pensare e ordinare - e svuotare e far spazio per altro - dove lo trovi?
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Poi l’ultimo giorno siamo in una faggeta monumentale, il soffitto delle chiome è così alto sulle nostre teste che potrebbe spaventare (ma non lo fa); il suolo ricoperto dalle foglie secche è un tappeto che nelle moschee se lo sognano, il silenzio è una cosa di ispirazione e meditazione, ma scoprirò che
non è silenzio.
A breve faremo una piccola cosa di forest bathing, una voce ci guiderà. Ma prima di iniziare, è già un Dono quello di poter chiudere gli occhi e stare nel silenzio e non dover badare ad ulteriori stimoli - tanto sono cotti gli occhi nel sole lucano, certo, e piene le orecchie del camminare in gruppo; ma il fatto è che per un attimo non serve continuare a ficcare il verde prorompente e i fiori e ogni altra cosa nelle bisacce per poi, in futuro, ricordare; chiudo quindi gli occhi e rallento il fiato e non penso a nulla, e sotto la volta altissima della faggeta dovrei ascoltare le istruzioni della nostra guida, ma faccio in modo che il mio senso - non “i miei sensi”, ma proprio un unico senso, un Davide riassunto e concentrato a una unica cosa - attraversi tutto: supero la voce che ci invita a meditare e l’aria di fronte a me e i tronchi dei faggi e il tappeto croccante e arrivo ad un foglio bianco, una tela nuova, sulla quale - non era silenzio! - ci sono trilli e canti, guizzi, riff di uccelli strumentali e richiami d’amore e commenti volatili e chiacchiere tra comari e borbottii cristallini e campanelli; mi chiedo quante specie di uccelli stiano chiazzando alla Pollock la tela sonora che vedo a occhi chiusi, ed è un momento preziosissimo e dannazione è un’altra cosa da infilare nelle bisacce, da sedimentare e raccontare prima o poi per non perderla.
*
E giorno dopo giorno, non potendosi sfogare nella mia testa e sulla pagina del quadernetto, nella marea verde si incastra tutto, altri fiori spuntano dai rovi; altre campanelle vegetali e orchidee che hanno la forma del culo delle api; frammenti di storie; decine di tipi di spiga diversi; il martini bianco con due cubetti di ghiaccio e il limone preso la sera precedente; veloci schizzi di statue, sculture, murales, affreschi, semplici capitelli, planimetrie architettoniche, volumi; il ritornello di She comes in colors; alcune osservazioni sul paesaggio; rappresentazioni di riti arcaici; quello che ci viene messo a tavola la sera; versi di canzoni popolari maliziose e salterine; versi di canzoni death metal; i fiori delle cicerchie selvatiche e le pennellate di quelli delle ginestre; associazioni vegetali struggenti e perfette e piante grasse che sembrano città aliene; un’altra orchidea che nella sua strategia evolutiva ha imitato la forma dei labbroni di Mick Jagger.
*
Infine, c’è uno spettacolo di teatro calato in un bosco di cerri; attraverso le fronde filtra una luce molto bella, che è un piacere respirare nel caldo tenuto a bada dagli alberi; i teatranti sono una fisarmonica - si concentrano, si separano, poi si riuniscono di nuovo, a nostra volta ci separano e ci raggruppano.
La faccio breve. Dopo cinque giorni di bisacce a riempirsi, di cuciture che rischiano di scoppiare ad ogni passo, di un peso mentale (bello) sempre maggiore e della paura di perderne anche solo un grammo, di questo contenuto (per me) importante - vitale; insomma: questi teatranti hanno imbastito uno spettacolo che tocca ogni singola mia riflessione di questi giorni su camminare, leggere il mondo, ricordarlo, metterlo su carta; e la prima parola è una crepa sulla diga che sta tentando di contenere ogni cosa, e alla fine sono in preda a risonanza e commozione totali.
Ma in ogni caso, più di tutto è la frase che uno di loro ad un certo punto dice. È la citazione di una poetessa statunitense, all’incirca la risposta alla domanda che cos’è la poesia?, e la frase è questa:
la poesia è un giardino immaginario con veri rospi dentro.
E accidenti io lì crollo, e tuttora sto qui a sperare che la mia scrittura possa essere
nello stesso tempo tutti i boschi che ho vissuto, e che ci si possa inciampare dentro davvero.
O qualcosa del genere.
Note
Il cammino di cui si parla è il Canto degli Uomini Liberi nella Valle del Melandro, in Basilicata; informazioni su Bagaglio Leggero.
Lo spettacolo teatrale è Andante della compagnia Faber Teater. È ora una tua priorità tentare di incrociarlo, da qualche parte.
La poetessa statunitense è Marianne Moore.
She comes in colors ev'rywhere / She combs her hair / She's like a rainbow 😉
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter. Sto lavorando ad alcuni racconti brevi per mettere le basi - di lore e linguaggio - di una cosa che chissà quando. È anche uscito Escursioni tra le Dolomiti Friulane, 19 itinerari, quinto output della collaborazione tra il progetto Bagaglio Leggero (vedi al punto 4) e la casa editrice Editoriale Programma.
In questo momento sono in giro, dappertutto, ma direi in Veneto.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Poetico e senza tregua, senza spazio a rovesciare bisaccia che portano il peso della bellezza. Splendido racconto Davide.