1.
Così c’è una luce radente che rende la corta erba dei duemila e passa di quota un drappo di velluto che ricalca con precisione le morbidezze e i guizzi di rocce antiche, una peluria preziosa degna del vello d’oro, e i primi passi in discesa sono una poesia nella fresca aria delle sette e mezza, otto della sera - la magia del movimento, signore e signori - e ogni pensiero e ogni storia e ogni emozione e ogni sguardo è creta metaforica nelle mie metaforiche mani, un reservoir di parole alle quali so che potrò dare qualunque forma e qualunque direzione io deciderò di
Mi sono dimenticata i bastoncini al rifugio oh no.
Questa è S., e d’altronde eravamo tutti piuttosto divertiti e distratti quando l’abbiamo lasciato, il rifugio, e chi sono io per non offrirmi per risalire a recuperarli?, d’altronde io son parole preziose e vello d’oro e magia del movimento, ma probabilmente nell’afflato poetico tra l’arcadico e il romantico ho scordato le più terrene questioni del dislivello e dei mirtilli sotto grappa che dolosamente il rifugista aveva lasciato sul nostro tavolo dopo i caffè: mirtilli grossi come pesche e intrisi come spugne e roscidi e sensuali e ne prendo uno, ne prendo un altro e questo è l’ultimo sì-sì, e si può immaginare come sia andata a finire.
Comunque metto piede sull’assito di legno della terrazza del rifugio che ho il cuore che batte secco come un rullante grindcore e parimenti veloce - Still not loud enough, still not fast enough! [cit.] - , il fiatone, e intanto nel poco tempo in cui mi sono allontanato il rifugista, finalmente senza clienti, ha messo su una specie di techno tedesca giusto il cui tempo è giusto un po’ discrepante rispetto al mio ritmo interiore, e quel che è peggio è che i mirtilli sono ancora lì, ammiccanti nel loro vaso trionfale e aperto, il mestolino di metallo provocatorio col suo ricciolo finale che scintilla contro il velluto dorato dello sfondo.
Sgattaiolo non visto, con i bastoncini di S. in mano, inciampicchiando e guardandomi alle spalle, temendo la comparsa di quelle specie di pesche viola.

2.
[Un assaggio di MPSP per chi si chiede come sia “diventare copywriter”. Contesto: è il mio primo lavoro come copy, è il 2008, sono copy junior e resident in un grosso tour operator del Veneto. Dire che non ho un buon rapporto con la mia copy senior è un eufemismo.]
Così la copy senior deve modificare tutto quello che scrivo, anche quando oggettivamente non serve farlo. E una volta non va bene l’elenco dei luoghi che ho scelto per la sintesi del pacchetto di viaggio, e la successiva non va bene usare le emozioni, la volta successiva ma che freddo questo pezzo, l’emozione dov’è?, e poi non va bene il suono così, e ancora la punteggiatura colà. Con tutto che ognuna di queste decisioni è talmente casuale – dettata com’è dal di lei gusto – che è impossibile trarne regola: tranne quando le regole me le dà lei, la stessa professionista della parola che poi queste regole romperà la volta successiva che metterà gli occhi su quel testo già corretto - da lei.
Qui sembra una filastrocca. (penna rossa). Non devi iniziare la frase con un avverbio (penna rossa).
Uno dei miei ultimi giorni di lavoro presso il Grosso Tour Operator del Veneto, sto chiudendo la revisione del catalogo annuale dei tour guidati – un lavoro estenuante non solo per dimensione, ma anche per il rischio reale di scambiare un micro pezzo aggiornato con uno dell’anno precedente.
Nel catalogo ci sono centotrentotto tour, ognuno composto da nome del pacchetto, sottotitolo, tabella di marcia suddivisa in giornate, highlight, avvertenze, asterischi burocratici. Uno di questi tour si svolge in una valle austriaca nella quale, giusto l’estate appena trascorsa, i miei sono andati in vacanza. Così intreccio nelle due righe che ho a disposizione per il sottotitolo ogni cosa che so essere reale e rilevante, e riesco nell’avaro conteggio dei caratteri a farci stare un paio di luoghi, un’emozione, una chiesa stile bomboniera di marzapane, un liquore tipico, qualche pennellata paesaggistica. Francamente? Perfetta.
Arriva la copy senior, sfoglia le bozze di tutto il catalogo, dei centotrentotto tour vede quello.
“No, no no no, NO! Ma così proprio non va bene.”
Si blocca davanti al monitor, le dita sospese a meno di un centimetro dalla tastiera, sotto la pelle callosa dei polpastrelli, uno per dito, ci sono gli spiriti dei poeti laureati, l’aria attorno sa appunto dell’alloro di lor’corone, ancora un attimo di sospensione, l’incipit viene riscritto.
La bella valle della-
“Eccolo, così è perfetto.”
Nessun riferimento reale – la bella valle della potrebbe trovarsi in qualunque regione alpina - nessuna emozione, l’allitterazione iniziale un brivido lungo la schiena.
Dovrei piegare il mento verso il basso, corrugare la fronte, sibilare una micro bestemmia, poi sbarrare gli occhi e dire Ma no ma no ma no lo dico io. Ma io sto già ascendendo verso la sommità della montagna: ho percorso la-bella-valle-della con i piedi scalzi, il capo nudo e una coperta arrotolata in spalla e parlando con gli animali del bosco, sono il prescelto e non lo so ancora, sono imperturbabile, insomma non faccio espressione alcuna e La bella valle della andrà in stampa il giorno dopo.
3.
Sono tempi - come da Incudine della scorsa settimana - in cui le cose si affastellano, tra una valle da esaurire (spoiler: è impossibile farlo), il ritorno in pompa magna dei clienti, i progetti eccetera.
Si dice che settembre sia un secondo gennaio, e a gennaio sei confrontato dai temibili OBIETTIVI, e proprio oggi su Tumblr ho letto un post che all’incirca traduco così
Lavori mentre lavori sul tuo benessere mentale mentre lavori sulle tue relazioni mentre lavori sulla tua salute mentre lavori sui rapporti con la tua famiglia mentre lavori sui tuoi ritmi del sonno mentre lavori sul tuo fisico mentre lavori sui tuoi obiettivi personali mentre lavori
Dà benissimo il senso (anche l’assenza di punto lo dà), e quindi questa newsletter finisce qui, se volete dell’altra scrittura c’è anche il nuovo numero di Fuori Traccia (la newsletter di Bagaglio Leggero), e ci vediamo giovedì prossimo.