Dar nomi alle terre
Dispaccio dal Sudamerica, #4. La densità è moltissima in questi giorni, e questa scena ne è solo una particella.
Si racconta che Magellano, navigando per la prima volte le coste a settentrione dello stretto che avrebbe poi preso il suo nome, vide sulla riva opposta decine di fuochi: erano i Selknam vestiti con pelli di guanaco, re erranti e sognatori del deserto, che trasmettevano di baia in baia, di capo in capo, il pericolo che veleggiando scivolava sulle gelide acque al di là.
Magellano ben si guardò dall’avvicinarsi a quei lidi, e preferì seguire lungo le coste non cartografate e ancora quasi-quasi lineari prima di frastagliarsi oltre Capo Froward e al di là della penisola di Brunswick in una frangia di fiordi e isole allungate.
La non-cartografia rimarrà tale ancora per un po’; queste terre destinate a diventare la Magellanica, almeno stando ad un mosaico di tessere coloratissime da qualche parte in Punta Arenas; la Terra del Fuoco invece a guadagnar da subito un nome.
Il che alle volte è un male.
Molte altre cose hanno preso poi l’attributo di magellanico, o così ci pare mentre passeggiamo per Punta Arenas, mentre guidiamo verso sud e ascoltiamo le pubblicità alle radio locali, mentre visitiamo i musei, mentre scorriamo classificazioni linneiane.
Il pinguino magellanicus, la fuchsia magellanica.
Riguardo alla Magellanica, o meglio alla Regione de Magallanes y de la Antártica Chilena, si riferisce nei libri che ai cileni del centro e del norte queste lande di nulla e vento paiano talmente lontane da loro, da convincerli che gli abitanti di Punta Arenas si passeggino tra i pinguini in Plaza de Armas, e che il ghiaccio lambisca le coste. Chiaramente non è così (anche se questo tema sarà snocciolato con ragionamenti nel prossimo Dispaccio dal Sudamerica).
Terre ostili, ambiente ostile, nativi ostili: il Selknam simbolo della provincia, dipinto di strisce bianche e rosse sul corpo nudo, è inquietante e viene raffigurato con i pugni alzati; in un museo, una rara foto mostra altri nativi impegnati nel passatempo preferito, la lotta a mani nude.
Fatto sta che qui davvero l’ambiente facile non è; e se a Santiago rollavamo in un terremoto da 5.2 qui, mentre lavoravamo al computer, gli smartphone sono esplosi nella sirena di un allarme tsunami (che fortunatamente si è rivelato un’esercitazione).
Quasi sempre tira un vento prodigioso. I cinquanta chilometri all’ora sono un po’ la norma, i locali fanno spallucce. Quando le raffiche superano gli ottanta, invece, i coinquilini caldeggiano di camminare sul marciapiede dal lato della strada lungo il quale non corrono le linee elettriche: un groviglio modello Sud Est asiatico, con cavi liberi che scattano alle folate, che scuotono e fustigano l’aria.
Te va cortar qualche parte del corpo, dice l’Argentino ridendo e mimando il taglio di un braccio o del collo.
Argentino che ha indetto un asado per pranzo e adesso è fuori - le raffiche a cento chilometri - che armeggia con il barbecue tradizionale, il quale alla fine sembra un cavallo disegnato da un bambino: un cilindro allungato, quattro zampe dritte verticali, un collo lungo perfettamente verticale anch’esso. La testa è mozza, forse è stata cortata nel vento, ¿quién sabe? Ad un certo punto compare anche un rastrello, con il quale si tenta di tenerlo in piedi, e sembra una degnissima coda. Il cavallo-asado oscilla, cigola e si impunta sugli zoccoli, ma pare reggere. In cottura, quando si apre la porticina che ha sul fianco se ne scoprono le interiora segrete e sfritteganti: come in un modello anatomico del Settecento, oppure il cavallo di Troia di un popolo carnivoro.
Mentre la carne sulla parilla sfumacchia, dicono che il vento tocchi i centodieci all’ora. L’Argentino - chiaramente in maglietta a maniche corte - bagna il cortile con la canna dell’acqua, dato che alcune faville pazzerelle hanno preso a svolazzare dal didietro del cavallo-asado svolazzando verso un cumulo d’erba tagliata che ha mostrato interesse a prendere fuoco, e da casa nostra nel mezzo del quartiere di casette a un piano la Tierra del Fuego è a un passo.
Altro?
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Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
In questo momento sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter.
In questo momento mi trovo in Sudamerica (ora in Cile), a tempo quasi indefinito.
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Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Troppo troppo breve mio caro Davide hai chiuso sul più bello e sono subito andata a colmare solo in parte la mia abissale ignoranza delle cose sud americane...i selk'nam chi erano costoro ?
Che viaggio meraviglioso state facendo tu e Silvia....ma bisogna saperlo raccontare!!