Gli esploratori
Dispaccio dal Sudamerica, #5. Forse è vero che a Punta Arenas ci sono i pinguini per le strade; che la libertà dell'esploratore è cosa dolce e rara; che siamo sempre ospiti.
Si diceva quindi che gli abitanti della capitale sono convinti che al sud i pinguini camminino comunemente per le strade degli abitati.
No lo se, ma so che stavamo guidando verso nord lungo la strada 9 - un nastro prima sterrato e talmente vicino all’oceano da farti pregare che non arrivi l’alta marea mentre sei parcheggiato al di là; poi sterrato tra prati e fiumi e uccelli dalle zampe lunghe o dai colli rossi, e tende infilate tra gli alberi e barbecue fumanti idem; poi infine un nastro d’asfalto di una morbidezza assoluta che segue le pieghe della costa, una linea di separazione tra le nuvole drammatiche a occidente e le increspature oceaniche a oriente.
Dicevamo. Dopo una lunga escursione costiera (quasi) alla fine del continente e dopo gli sterrati di cui sopra - per fortuna nessuna alta marea è capitata nel frattempo - ci stiamo quindi godendo l’asfalto. Tamburello la musica cilena che esce dalla radio e guardo a destra e a sinistra e a destra e a sinistra, tra le haciendas e le casette di lamiera dei pescatori con le barchette spiaggiate affianco, sperando di incrociare uno di quei familiari inviti - ¿un cafecito? - dacché subisco il fascino del baretto alla fine del mondo, e comunque un caffè mi andrebbe proprio, ora; ma ohimè, baretti alla fine del mondo non se ne vedono e una cantante mi conferma la delusione con il verso todo es un disastro; in ogni caso ora è il momento di guardare a destra verso il mare, e poco più avanti, sulla spiaggia, giusto giù dal terrapieno della strada, ci sono due tipi bianchi e neri, immobili, piantati sulla sabbia grigia e a grana grossa.
Rallento, accosto, scendiamo dall’auto e dal terrapieno e sono due pinguini reali.
Rimarremo seduti per mezz’ora, a un metro di distanza da loro, a guardarli fare.
I pinguini reali si procacciano il cibo lungo percorsi che superano i quattrocento chilometri di lunghezza, e noi li stiamo guardando mentre si impermeabilizzano le penne con una attenzione sistematica eppure assolutamente nonchalante, con il gesto ripetuto di quando sei tutt’uno con la tua attrezzatura e non hai bisogno di pensarla: e non è nemmeno un rituale - è giusto un movimento automatico in secondo piano. I pinguini piegano il collo ad angoli assurdi, gonfiano il petto e spingono indietro la testa per trattare le penne del petto, si contorcono per arrivare alle zampe - a guardare la massa morbida nella quale infilano il becco, tra fibra e fibra, pare che indossino dei tutoni interi con gli elastici alle caviglie. E intanto sono completamente lì e sono anche non-lì: sicuramente registrano la temperatura dell’aria e gli aromi del lungomare (e forse la nostra presenza), eppure niente pare toccarli, soltanto stanno facendo questa cosa dell’impermeabilizzazione perché si deve ma poi c’è da mettersi in acqua di nuovo; perché dopo due o trecento chilometri uno dei due ha detto: devo darmi una passata, pausetta?
Quattrocento chilometri di acque gelide, con chissà quali strumenti per orientarsi ed un solo tutone impermeabile addosso. Affascinante e invidiabile.
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Per gli indigeni Kawéskar, Mwono era lo spirito del rumore. Viveva tra le montagne e nei ghiacciai, e se disturbato poteva causare allagamenti, valanghe e forti rumori. Per questo, i Kawéskar frequentavano le montagne in silenzio e muovendosi veloci, speditivi, dimodoché Mwono non si accorgesse della loro presenza.
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Nel mentre, in questi giorni mi arzigogolo per trovare un brandello di montagna da poter esplorare liberamente, senza biglietti di ingresso, senza cose da prenotare, trasporti da incastrare e orari di apertura da rispettare, guide da assoldare e tour ai quali partecipare: senza ostacoli tra il desiderio dell’esploratore, i suoi piedi e il terreno.
Sembra facile, ma.
E così abbiamo appena salito il versante fangoso (ma segnato) dell’ultimo rilievo meridionale del continente sudamericano - isole escluse - e siamo sbucati su un secondo versante non fangoso, ma così zuppo da non crederci; e poi ancora sbuchiamo su un falsopiano che è una torbiera resa ancora più carica d’acqua dalla neve appena sciolta, e ad ogni passo c’è il rischio di farsi fregare uno scarpone dal risucchio del suolo - dio benedica quelli alti - e muoversi veloci è impossibile: volevamo salire-e-scendere-tac-tac, ma adesso rischiamo ad ogni passo di risvegliare Mwono. E avanzare così è soprattutto fastidioso e disperante, i bastoncini si piantano per venti centimetri nel pantano e a sfilarli c’è da slogarsi le spalle; e dopo questa infinita torbiera pare esserci la salita vera e propria alla quale però non arriveremo, perché la stessa torbiera adesso è solcata da una rete di ruscelletti bassi ma troppo larghi per saltarli e le isole di muschio verde che prima erano (quasi) solida superficie sono ora trappole ingannevoli e ciao, desistiamo.
Guardo il suolo con scoramento, tirando il fiato, e scorgo tra il muschio una barretta di metallo. La raccolgo: è una bombilla, una cannuccia con la quale si beve il mate.
Con la quale ora sto bevendo il mate.
Infilo la bombilla in un taschino dello zaino. A metà discesa calcolo male la traiettoria di una saltello e piombo nel fango. Il piede destro affonda nel suolo fino alla caviglia. Faccio per imprecare, ma soffoco ogni suono.
Sono reo di aver trafugato un oggetto, meglio non provocare oltre gli spiriti.
NOTE
Più che una bozza, era un appunto.
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Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
In questo momento sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter.
In questo momento mi trovo in Sudamerica (ora in Cile), a tempo quasi indefinito.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram.
Per i miei servizi di ghostwriting, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!