Ciao, sono Davide.
Questa newsletter non esce nel consueto giovedì, e neanche alle otto-e-zero-uno. E questa newsletter è mancata per un po’.
Il fatto è che ho in scrittura una newsletter da sei, sette, otto mesi: e il fatto che sia in scrittura ancora e ancora e ancora mi ha fatto decidere, oggi, nel mezzo di una faggeta innevata, neve ghiacciata croccante sotto ai piedi, cima ventosa bellissima sopra la testa da raggiungere, di buttar fuori questa; che è contingente e urgente - conturgente? - e nello stesso tempo non vuol dire e non serve a nulla.
Ci becchiamo una di queste otto-e-zero-uno con la newsletter (vera) di cui sopra!
Trovi tutto quello che devi sapere su di me e su questa newsletter in basso, dopo il pezzo di oggi. E mi fa piacere se ti iscriverai o condividerai Incudine: trovi gli appositi pulsanti strada leggendo. Uno, per dire, è questo:
Grazie per essere qui, e buona lettura.
Il mio zaino da montagna è Dimmuborgir
1.
Quando lavoravo alle poste - allo smistamento - ero ossessionato da una frase, che pensavo sarebbe diventata il titolo di un romanzo: Quando gli oggetti non vogliono.
2.
Quando è entrata Silvia nella mia vita, tra le innumerevoli cose che ha portato c’è stata anche un’attenzione all’oggetto giusto. Ci aveva provato anche uno dei miei compari, Marco, l’altra metà della storia di Attraverso, a farmi venire un interesse e un’attenzione al tessuto corretto, all’attrezzatura più adatta.
Ma io ero - e un po’ sono ancora - uno che prende e va. Uno che l’importante è partire, ci aggiustiamo in corso d’opera. Uno che è sempre un po’ sbrindolo, un po’ alla ma-va-là, non dico disorganizzato, ma sicuramente piuttosto liberale. Andavo in montagna in jeans, una volta, usavo magliette di cotone, appendevo le cose male allo zaino, asimmetriche e sbilanciate.
Il fatto è che - sul piatto opposto della bilancia rispetto a Silvia e a Marco - il mio mentore dell’oreficeria, parlando di attrezzatura orafa, mi aveva sempre spinto ad arrangiarmi, e a farlo il più possibile a buon mercato. Mentre io mi dannavo per cercare attrezzi e strumenti - un po’ svenandomi, un po’ perdendo tempo, un po’ (forse) usando la mancanza del bulino giusto come scusa e autosabotaggio, una di quelle cosa che aspetti le condizioni giuste, e guarda caso le condizioni giuste non arrivano mai e tu non combini mai nulla - lui mi dimostrava come si potesse rivaleggiare con il Cellini pur usando attrezzi comprati al Brico e riadattati alla meno peggio.
Io insomma ambivo (ma forse anche no) alla perfezione strumentale, ma alla fine sono sempre riuscito a fare le cose solo quando mi ci mettevo indipendentemente da ogni circostanza, e regolarmente quando le condizioni NON erano quelle giuste.
Chi riesce davvero a scrivere un libro, sa.
E in definitiva, non ho mai capito dove si trovi il giusto medio, l’aurea mediocritas, lo sweet point, all’interno della gamma che va dallo schermarsi da danno e disagio tramite adeguato e spesso costosissimo equipaggiamento, allo sviluppare callosità, resistenza, nonchalance e insensibilità agli elementi per poter fare il più possibile con quel poco che naturalmente si ha a disposizione.
3.
La faggeta, la neve croccante sotto ai piedi quindi. Fa un caldo epocale, almeno sui mille-e-sei, ho la termica a maniche lunghe che è un forno e la fronte liquida e non abbiamo ancora iniziato davvero a salire. Arriva una chiazza di terriccio e foglie secche già liberati dalla neve: ci fermiamo per spogliarci di qualche strato, bere un goccio d’acqua, orientarci.
Mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo appoggio per terra, scosto la calotta e allargo l’apertura - l’unico ingresso per l’accesso al profondo tubo che, alla fine, lo zaino è. E ci infilo la mano dentro, a questo buco, sondando, tastando, schivando: percependo.
E dentro c’è l’ultima cosa che mi sono tolto di dosso - la felpa - poi la penultima - il piumino - e poi il berretto e i guanti - questi ultimi mi riprometto sempre di metterli nella tasca esterna per un più facile accesso e sono pure convinto di averlo fatto, mezz’ora fa, come sono finiti qui?; poi c’è il thermos e di fianco la tazza di lamiera - allungo le dita e faccio la mano a pinna e proseguo a scendere e c’è il bordo tagliente della pala da valanga, il manico della suddetta pala, uno scaldacollo pesante, il sacchetto con i panini, il sacchetto con i crackerini, alcune barrette sparse, poi dei blocchi di lardo di colonnata lasciati a stagionare con il sale e il rosmarino, poi un pozzetto frigorifero con il ragù della nonna e le scorte di carne a congelare, poi il locale tecnico con la caldaia che va, poi un sottobosco fortemente umico con foglie secche e pigne, il substrato di roccia calcarea, reticoli di grotte e sifoni, uno strato di torbiera con le carcasse di dinosauri che si trasformano in bitume, Giulio Verne, poi l’abisso ma qui sotto non c’è nessuno a guardarci dentro e lui di rimando non può guardare dentro a nessuno, poi il mantello terrestre e infine quello che stavo cercando, cioè una maglietta leggerissima, appallottolata.
4.
Nella mitologia islandese, Dimmuborgir - un campo di lava dalle parti di Mývatn - connette la superficie terrestre alle regioni infernali.
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico ogni tanto degli estratti in questa newsletter. Nel contempo, lavoro a racconti, libri di escursionismo, articoli.
In questo momento mi trovo in Abruzzo, sull’Altopiano delle Rocche (AQ).
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Bentornato
Quello che si cerca, non si sa come, dato che, come dici tu, ci si ripromette di mettere tutto in maniera ordinata, è sempre sempre in fondo allo zaino. Sarà la legge di Murphy di chi va in montagna? O è Giulio Verne che nasconde le cose per farci avventurare pure in uno zaino?