Lo scrittore culturista?
Una veloce riflessione sulla scrittura: less is more, ¿por verdad?
Ciao, sono Davide.
Padova, infine. Ma il tempo è breve, e tra due giorni sarò impegnato in un progetto di escursionismo e altre cose del territorio. I dispacci dal Sudamerica sono all’incirca finiti (oh, no), e mi prendo qualche minuti in questa afosa sera per mettere giù un pensiero che è da un po’ che mi gira per la testa.
Da quando scrivo, in realtà.
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Grazie per essere qui, e buona lettura.
Lo scrittore culturista?
[Disclaimer: sono idee mie; ma parliamone, no?]
Gli sport della ghisa funzionano più o meno tutti così: ci sono una fase di massa e una fase di definizione. Nella fase di massa, metti su massa (ma no?); mangi di più perché i tessuti del corpo hanno da crescere - certo, un’idea potrebbe essere quella di metterla su, questa massa, il più pulita possibile; ma non è questo il punto: il punto è avere addosso una buona quantità di materiale extra che ti permetta di spingere di più, e quindi mettere su più tessuto muscolare. Con la fase di definizione, ti metti a stecchetto e tagli il grasso in eccesso, al fine di - si sarà capito - definire le forme che stanno sotto a quell’antiestetico adipe (il quale però ti permetteva uno stacco da terra da tre-volte-il-tuo-peso-corporeo, bei tempi).
In breve, eh.
Credo che per molti funzioni così con la scrittura (per me lo fa). La prima bozza riempi fogli, sbrodoli le scene, incicci i passaggi, gonfi le descrizioni. Poi scolpisci: togli il materiale in eccesso, sbozzi le forme, limi. In sostanza, alleggerisci.
Et voilà il pezzo finito, et voilà il corpo del culturista.
Il corpo del culturista, appunto. Gli sport della ghisa però sono tanti e diversi: possiamo mettere all’incirca ai due estremi il culturista e il powerlifter.
Per i non addetti al settore. Il powerlifter brama sollevare il più peso possibile su tre alzate differenti (squat, stacco, panca); è una disciplina deliziosa, me ne ero innamorato. Il culturista o bodybuilder punta al fisico scolpito da mostrare in competizione. Nell’immaginario comune, il powerlifter è un orso, il culturista sono le pagine di un atlante di anatomia umana.
In brevissimo, eh.
Quando il culturista si approssima alla competizione, entra in fase di definizione - di cut, taglio. L’obiettivo è ridurre all’osso la propria massa grassa, puntando a valori che si aggirano attorno al quattro percento (per gli uomini, otto per le donne se non sbaglio). Come si può intuire, non è una scelta saggia, e soprattutto non è sostenibile a lungo termine (non lo è neanche a medio). E una delle conseguenze del taglio è la debolezza: gli dèi delle striature muscolari e tendinee accettano l’esposizione anatomica in cambio di un congruo tributo di forza.
Quando il culturista taglia, è al nadir della sua forza.
Quando sei al nadir della tua forza, è impossibile vivere le avventure.
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Mies, Mies. Se vedo Mies van der Rohe per strada, gli sputo.
Il fatto è che (ho la sensazione che) dietro il less is more ci sia (alle volte) (tante volte) tanta pigrizia, tanta scorciatoia.
Sì, lo so: la poesia, i giapponesi, l’essenziale, la leggerezza (cit.), niente zavorre.
Eh lo so lo so lo so. Ma se sei less is more, ti chiedo: non hai mai voglia della briglia sciolta?
Less is more è rassicurante. More is more è adrenalina, sorpresa, inaspettato, collegamenti bislacchi e sorprendenti e pianeti da esplorare con due soli all’orizzonte, una vegetazione rigogliosa, e sapori mai assaggiati.
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Mi piace scrivere di montagna. Mi piacerebbe scriverne di più. Eppure, la scrittura di montagna si porta addosso lo stigma (per me) dell’essenzialità, della parola semplice, del pochissimo grasso in eccesso.
Che palle, però.
Ascoltavo, qualche tempo fa, un’intervista a Paolo Cognetti, proprio sul tema della scarnificazione della parola, della ricerca ossessiva della parola che proprio quella, sola, precisissima.
Mi ricordo che - credo stessi mandando un vocale ad un amico, scrittore di montagna; mi ricordo che gli avevo raccontato l’intervista e poi ero sbottato, avevo detto qualcosa tipo ed ecco, ancora un po’ di ricerca e i libri di montagna saranno una cosa tipo erba, prato, zappa, falce lì, uh. Placida mucca.
[Poi questo aprirebbe anche il vaso di Pandora della sempre più rigida compartimentazione dei generi e degli stili; ma ora no.]
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Nel 2015, il powerlifter russo Andrey Rodichev è salito alla vetta del monte Elbrus (5.642 metri) portando sulle spalle un bilanciere da 75 chili. Ci ha messo otto giorni.
Ecco.
Mi piace pensare a una scrittura così, che abbia forza abbastanza per portarmi sulla cima di un innevato monte sovietico; una fedelissima carta topografica del mondo con la quale orientarmi e nella quale perdermi; una scrittura che mi sorprenda come un viaggio psichedelico quando sai come abbandonarti ad esso; una cosa che contenga nello stesso paragrafo punti esclamativi e punti di domanda, e più volte, e sovrapposti, cangianti.
E non a una scrittura lì lì per svenire, esposta come un taglio di carne, esangue.
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter. Domani invece esce Trekking in Valle d’Aosta. 18 escursioni.
In questo momento mi trovo a Padova, casa appiccicosa casa.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Geniale e originale negli accostamenti, come sempre un piacere leggerti...ben tornati Bagaglioleggero del mio cuore 😍
Ciao Davide, grazie per le tue parole e la tua riflessione. Capisco cosa intendi e lo condivido. Così, a caldo, mi vien da dire che il problema è da ricercare nel pubblico di lettori (che siano di libri, social media o altro poco importa). Non siamo più abituati alle moltitudini di parole. Al punto che il lessico medio che abbiamo a disposizione va via via restringendosi (qui un vecchio articolo https://letterecontemporanee.wordpress.com/2019/07/18/i-ragazzi-conoscono-solo-300-parole-riflessioni-su-lingua-italiana-giovani-affermazioni-azzardate-e-citazioni/). E questo, giocoforza, ci costringe a usare sempre meno parole. Per non parlare della continua riduzione della nostra soglia di attenzione dovuta ai mille stimoli e alle molte distrazioni di cui siamo costantemente oggetto. Però credo che sia giusto che uno scrittore si ritagli uno spazio per scrivere come meglio crede. Chi vorrà, leggerà. Un'ultima cosa: non nascondo che mi piacerebbe incontrare te e Silvia di persona ora che siete in Italia. Un caro saluto!