Pietre semipreziose + Taxi colectivo, #1
Dispaccio dal Sudamerica, #21. Sensazioni monumentali nel piccolo; e nasce una nuova rubrica.
Ciao, sono Davide.
La sorpresa di oggi è la prima uscita di Taxi colectivo, una rubrica dentro Incudine. Ogni cosa è spiegata all’inizio della rubrica, che sta dopo il pezzo principale.
Trovi tutto quello che devi sapere su di me e su questa newsletter in basso, dopo il pezzo di oggi e dopo Taxi colectivo. E mi fa piacere se ti iscriverai o condividerai la mia newsletter: trovi gli appositi pulsanti strada leggendo. Uno, per dire, è questo:
Grazie per essere qui, e buona lettura.
Pietre semipreziose
Base dei Pirenei francesi, circa 2013. Quando ero a bottega da lui, l’orafo stava lavorando ad una serie di pezzi il cui punto focale erano dei grossi pezzi di vetro dal colore rosso granato intenso, uniforme, denso - quasi liquido.
Quando un blocco di vetro - una specie di mattonellona dagli spigoli smussati, liquidi anch’essi - arrivata via corriere al laboratorio, l’orafo subito interrompeva ogni cosa stessa facendo, avvolgeva la mattonellona in un panno e ci dava di martello, ottenendo così delle grosse schegge irregolari. Verso i bordi, il vetro perdeva la profondità granata - pareva che una spumosa risacca ne lambisse il confine, forse dal di dentro; in questo modo, le gemme artificiali diventavano quasi naturali, più vere, pur perdendo in parte la loro origine, confusa adesso tra vetro, fuoco, acqua profonda, sangue.
Al mio posto - entrando nel garage-laboratorio, quello davanti a destra guardando il banco orafo - io lavoravo pazientemente ai piccoli anellini d’oro che avrebbe tenuto insieme le gemme di vetro.
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Era una vita fa; ero archeologo, orafo; mi ero preso due mesi per andare a fare il bocia de botega da questo olandese trasferitosi appunto alla base dei Pirenei; purtroppo già non tenevo più il mio diario quotidiano, e per alcune sfumature di quell’esperienza matta - non è un modo di dire: matta lo è stata davvero - devo fidarmi della memoria, e non è il massimo per la fedeltà alle cose avvenute.
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Ora sono su una piattaforma quasi sospesa sul fiume - stranamente intersecato, e quindi rotto, da allungati dossi vulcanici - che romba una trentina di metri più in basso; sulla sinistra sale una parete curva, vulcanica a sua volta; due cascate distinte crollano giù con fragore mentre, sotto e di fianco a queste, un sistema di altri rivoletti sgorga da chissà dove e scava percorsi diversi tra il muschio verdissimo; ogni cosa finisce in una pozza di un blu intenso e vetroso, e questa intensità e questo vetro solo si rompono quando incontrano una roccia, un limite - e lì c’è la stessa schiuma e lo stesso schiarirsi del colore dominante, dei bordi taglienti delle gemme del mio maestro orafo.
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Uscivo dal portone del garage laboratorio, attraversavo questa piazzetta in miniatura tutta di pietra, con l’albero nel mezzo e la fontana, francesissima, ed entravo in un altro portone, oltre il quale salivo due rampe di scale e attraversavo una porticina ed ero nell’appartamentino che avevo affittato per quei due mesi; lo attraversavo e aprivo la porta della cucina ed ero su un terrazzino di due metri per settanta centimetri insieme al mio tavolino e alla mia sediolina per fare colazione fuori, almeno fino a fine novembre - poi no; e con un bicchiere di rosso in mano e i gomiti sulla balaustra di metallo guardavo la campagna brunita dal tramonto, le vigne nane perdersi all’orizzonte, e sfumavo via la tensione orafa della giornata; poi guardavo anche in basso: il mio terrazzino si spanciava fuori dalla massa inamovibile delle mura di pietra del paese, alto (il mio terrazzino) sopra la base di queste, a loro volte alte sopra il basamento di roccia della collina sulla quale sorgeva il borgo; dai miei piedi alla strada, sotto, ci saranno stati cinquanta, sessanta metri perfettamente verticali; e mi chiedevo quale Machiavelli dell’edilizia, quale virtuoso del martello pneumatico avesse pensato di installare un terrazzino a quelle vertiginose altezze medievali, quando oggi tutto quello che ti direbbero sarebbe tipo
è portante, non si può.
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Piove tantissimo qui ora, da qualche parte tra la Regione dei Laghi e quella de Los Rios e anche dell’Araucanìa - impossibile capire a quale segmentazione amministrativa cilena pertiene questo lembo di terra; sicuramente pertiene al dominio delle piogge, e infatti come da incipit piove tantissimo, e quando camminiamo nella natura ogni cosa mi pare, francamente, preziosa e monumentale.
Saranno i colori perfettamente lavati, saranno le gocce che rigano le superfici delle cose e arrivano ai bordi penzolanti e tergiversano, tergiversano in tensione e in attesa di un desiderio o della gravità come un ragazzino in attesa e dubbio sugli ultimi venti centimetri di un trampolino1: e poi cadono giù.
Monumentale e preziosa, dicevo. Ma monumentale non è solo l’araucaria alta venti, trenta metri che si staglia in cima alle rocce basaltiche e fa da bordo ad un campo visivo che contiene in scioltezza tre vulcani innevati le cui tre cime in sequenza fanno un codice morse del Cinturon de Fuego - cono piatto cono; mi sembrano monumentali le felci, dato che un solo stelo è alto quanto Silvia, e l’ombrello vegetale la copre completamente; mi sembrano monumentali le composizioni di alberi attorno ai laghi e i frammenti di legno aggrediti lentamente da muschi e licheni dai quali spuntano piccoli funghi e foglioline in miniatura; davvero: ogni cosa è di una perfezione così-com’è, ed è un mondo ed è preziosa e monumentale.
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Mesi fa invece camminavamo per un’altra isola, in un’altra divisione amministrativa, ma c’era la pioggia comunque: in media trecento giorni l’anno, a quella latitudine, quindi niente da dire.
Era ancora presto la mattina, ci trovavamo in un parco naturale forse da soli - i cileni non sono morning people, ci hanno detto il day one di questo viaggio - e avevamo raggiunto un edificio didattico nel mezzo della foresta; le foglie di nalca, enormi e incartapecorite, avvolgevano ogni cosa fino all’altezza del mio torace; nell’edificio, il silenzio, pannelli, ricostruzioni. Poi dal piano superiore, Silvia
Aiuto!,
come urlando, ma attenta a non spaventare nessuno.
Nessuno chi? Ho salito le scale, girato due angoli, sono entrato nei bagni: in uno dei due stalli, contro un oblò di vetro, il frullio d’ali di un colibrì che non riusciva ad uscire.
Colibrì in spagnolo è picaflor, ed è una parola che fa tanta simpatia.
Così, non sapendo che fare, mi sono avvicinato, ho avvolto le mani sotto e attorno al picaflor, ho lasciato che si aggrappasse con le unghiette piccolissime ai solchi delle mie impronte digitali e si calmasse, gli ho appoggiato un pollice sul colmo della testa per un aumentato effetto rassicurante e, sgambettando solo dal ginocchio in giù per non turbarlo, l’ho traslato nel salone principale, dove ho trovato una finestra da aprire da dove, appena fiutata la sfésa che si allargava, Pichi si è fiondato fuori, nell’immenso mondo forestale e gocciolante pieno di copihue e altri fiori a campana da suggere.
Quattro, tre secondi prima di arrivare alla finestra, ho sentito il frullio avviarsi dentro le mie mani a coppetta, ed è stato Un Momento.
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L’altro uccello cileno che fa simpatia con il nome è il tapaculo.
E in realtà fa simpatia anche a vederlo.
Taxi colectivo, #1
In Sudamerica, il taxi colectivo - o semplicemente colectivo - è un gioiello. Se non lo conosci, ti descrivo quello cileno: un’auto, un autista; il colectivo gira in continuazione, tira su persone finché c’è spazio, le porta dove queste richiedono; il costo è popolare (800 pesos, meno di un euro, per una corsa; di notte e feriado qualcosa di più - ma poco). Tu ne intercetti uno - gesti con la mano, scambio di cenni e occhiolini - e sali su: se è già pieno aspetti il prossimo, tanto ne passano in continuazione. Non è un Uber, e per molte cose è meglio: ogni autista un proprio algoritmo umano per ottimizzare tragitti e carico; i passeggeri, spesso perfetti sconosciuti, possono interagire tra loro; alle volte c’è una corsa a dare informazioni o consigli. Le borse del mercato sulle ginocchia, le valigie nel baule, e vedi scorrere strade e paesaggi che probabilmente non avresti mai visto.
🚕 In questo primo Taxi colectivo, salgono con me:
di Parole on the road, che qualche settimana fa - mea culpa il ritardo - mi ha chiesto cosa ne pensassi di un articolo che accusava i nomadi digitali (il verbo è giusto) di voler gentrificare le destinazioni da nomadi digitali. Il suo ragionamento è qui. Cosa ne penso? Il tema è densissimo e articolato e ci si potrebbe ricamare, ma giusto tre cose:che non sarebbe da dare ascolto ad un autore che, per quanto bravo a riportare dati e notizie in un articolo direi buono, attacca il pezzo con la smenata “ah, i commessi dei supermarket sì che ci hanno dimostrato di fare un lavoro vero e necessario, mica i nomadi digitali che a chi servono?”. Ma dai, nel 2024 còpate;
che sì, c’è una frangia di nomadi digitali che sicuramente cerca servizi occidentalizzati, situazioni ben definite (l’equivalente del “da cartolina”), una certa standardizzazione - dei sapori, ad esempio; delle musiche; del look&feel di locali e localini, di spiagge e coworking. Sento - odoro - la stessa cosa nel tono di molti che scrivono di viaggi, e secondo me le due cose vanno di pari passo (ma questo è tema ancora più complesso);
che no, non credo di alzarli io i prezzi degli alloggi nel sud del mondo e neanche di volerlo, direi; simili meccanismi si sono innescati e continuano a innescarsi in risposta ai flussi turistici; in risposta agli europei che cercano un buen retiro dopo la pensione; in risposta agli studenti universitari - nasco in una città universitaria, le so queste cose; e quindi, se dobbiamo ravvisare un minimo comune denominatore, mi pare che tutto punti ai palazzinari - o no? E quindi ancora, forse, metti, non sarebbe da girare la domanda a chi potrebbe decidere tetti e regole migliori attraverso le quali regimentare la speculazione?
Altro passeggero,
di 21 grammi di turismo, che leggo sempre con piacere (anche se mi subissa di ottimi spunti, e non ho tempo di seguirli tutti!), e che qui tira fuori un tema a me carissimo et odiatissimo: la scrittura che si appiattisce per vellicare il motore di ricerca. Moltissimi miei “competitor” per quanto riguarda il travel/montagna (ti ricordo il progetto ), risultano di una piattezza abbacinante, nella quale distese uniformi di noia sono punteggiate da aggettivi sempre-gli-stessi; e mi chiedo come i miei colleghi-competitor vivano il momento della scrittura dei contenuti: ma con che voglia? Io cadrei nello spleen.Ad oggi, poi, la localizzazione dei contenuti e quindi il ricorso ai traduttori automatici dà il colpo di grazia al piacere della lettura, se ancora esiste su queste piattaforma; ogni cosa è la stessa, tutto è nutrito di un freddo entusiasmo robotico. Se vuoi un assaggio di quello che sto dicendo, leggiti i “testi delle raccolte” di Komoot.
Temo però che non sia un problema di sola “scrittura SEO che poi si mangia tutto”; ma che proprio manchi una cultura del bello scrivere, del gusto nel farlo, del voler lavorare ad uno stile. Ci ragiono, poi ti dico.
Ultimo passeggero del colectivo:
di Io viaggio in poltrona, che ha accolto un mio pezzo su Andorra nel 27° numero della sua newsletter (la e lo puoi leggere qui). Grazie, grazie!, è stata la mia prima collab., o il mio primo feat., o anche il mio primo “può contenere tracce di” :)Colectivo è arrivato a destinazione; partirà per un’altra corsa tra un paio di settimane!
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter. Sì, sto scrivendo anche 18 escursioni fighissime in Valle d’Aosta (titolo di lavoro).
In questo momento mi trovo in Sudamerica (ora in Cile, a Puerto Varas, nella Regione dei Laghi), a tempo quasi indefinito.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Che citazione; e quanti ricordi (letterari).
Pietre semipreziose, pura meraviglia di scrittura non aggiungo altro Davide....mi spiace solo che tra un po' ritornerete in questo paese bellissimo ma decadente e malgovernato e credimi lo dico con tanta tristezza nel cuore. Un abbraccio e a presto spero!
Felice di essere salito sul tuo "Taxi colectivo" e di darti degli spunti con 21 Grammi di Turismo :)