Come e perché si costruisce un ricordo
Dispaccio dal Sudamerica, #20. Inizia l'autunno piovoso ai piedi della Cordigliera; suggo dalla bombilla del mate e ragiono su "i ricordi".
Ciao, sono Davide.
Questo pomeriggio è ancora lungo, i clienti italiani sei ore in avanti stanno entrando in OOO - out of office - fuori piove forte e c’è tempo per scrivere.
E allora: scriviamo!
Trovi tutto quello che devi sapere su di me e su questa newsletter in basso, dopo il pezzo di oggi. E mi fa piacere se ti iscriverai o condividerai la mia newsletter: trovi gli appositi pulsanti strada leggendo. Uno, per dire, è questo:
Grazie per essere qui, e buona lettura.
Come e perché si costruisce un ricordo
Poche gocce di pioggia, prime avvisaglie di un cielo che sta per venire giù e, stando alle previsioni, ci metterà giorni a esaurire questo atto; si percepisce questa tensione, le nubi come trattenute da una rete invisibile che spingono per uscire dalle maglie e intanto dicono piovo-piovo-piovo; abbiamo infilato un’ultima gitina prima che questo schiantarsi del cielo sulla terra avvenga e stiamo cercando un posto dove mangiare; un tizio ci abborda e in un attimo ci sta aprendo la porta di un ristorante al secondo piano sopra al mercato, e dato che il ricordo si fa partendo dai sensi: prima cosa, ci sono due cucine a vista - una per ogni lato corto della grande sala; un tizio con una chitarrina suona e canta una canzone d’amore ammiccando lentamente tra i tavoli; la cameriera ci chiede se tenimos hambre, e hambre noi la tenimos, e in particolare yo la tiengo siempre; poco dopo la sopaipilla è deliziosa: la apro, e prima dell’aroma fritto esce un avvolgente vapore caldo, rassicurante come quello dei panni in una lavanderia, la superficie è fritta talmente bene che si sfoglia tra le dita mentre la mollica all’interno è molle e cedevole - è lo stesso rapporto ¡genial! delle berlinas che il nostro amico di Osorno nonché mio maestro di panificazione mi ha insegnato a preparare, concedendomi - essendo il mio primo cimento di panificatore - soltanto di tenere la sonda del termometro dentro l’olio bollente durante la frittura; l’aji nella ciotolina è diverso da quello che ci preparava lui e anche da quello che ho iniziato a preparare io, e nella sopaipilla è perfettamente contrastante; nel panorama fuori dalla finestra ci sono la pioggia, un tizio che cammina libero, cioè non assicurato, sulle tegole scivolose della falda di un tetto, e i soliti uccelli a volteggiare.
Aspettiamo le portate principali - i platos fuertes; parliamo di ricordi.
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Se solo ieri qualcuno mi avesse fermato per strada e mi avesse chiesto Ma la salita alla Tête Blanche de By?1, io non avrei saputo cosa dire - o meglio: ricordo l’abominevole dislivello, Silvia che non credeva ce l’avrebbe fatta (ovviamente ce l’ha fatta), il nostro padrone di casa che dava il passo e il suo cane, LC, che dava il passo a lui; gli stambecchi a bullarsi di LC, ora al guinzaglio, al rifugio Chiarella; un momento di vento prodigioso e freddo improvviso, poi la cima dentro le nuvole e il padrone di casa che continuava a ripetere che forse eravamo stati un po’ sfigati, forse, e che ci assicurava che dietro (dentro) lì c’era il ghiacciaio del Grand Combin. Qualche dato geografico, un po’ di toponomastica, il piatto di linguine al pesto del Chiarella (che si troverà anche a 2979 metri sul livello del mare, ma è gestito da liguri); poco altro.
Ma la sera prima fatalità stavo scrivendo alcune relazioni arretrate2, e fatalità proprio quelle mancanti della Valpelline; e sfogliando le foto della salita alla Tête Blanche mi è passato davanti agli occhi un fiore fotografato con il culo, sfocato e come se la regola dei terzi non fosse mai esistita; ma tanto è bastato a farmi tornare in mente perché quella gita mi aveva emozionato: i prati fioriti sopra i due-e-cinque di quota nei primi giorni di agosto, la precisione assoluta di petali e corolle, la varietà di forme, colorini e sfumature, il senso di delicatezza contro l’attorno di roccia aguzza e inospitale.
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Una persona con la quale condividiamo - su tappe diverse - il cammino proustiano, mi manda lo stralcio della pagina nella quale Camus dice che l’opera è l’unica possibilità di conservare la coscienza e fissarne le avventure. Creare, dice l’Albert, è vivere due volte.
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Poi LC ha approfittato della momentanea assenza di guinzaglio per scagliarsi contro una marmotta, inseguirla e incastrarla sulla porta di casa (della marmotta); prendendosi parole dal padrone, da noi e dalla marmotta, la quale tuttavia si è espressa a urla lancinanti e unghiate piuttosto spaventevoli. Emergenza rientrata, e la connessione fiori-fame mi ha fatto venire in mente che a casa avevamo finito la fontina ultra stagionata del mio caseificio preferito della Valpelline, un caseificato talmente avanti nella maturazione da essere entrato in una fase geologica tutta sua e nella quale, come fossero fossili, i profumi di quegli stessi fiori d’alpeggio si erano mineralizzati nella testura del formaggio.
Madò che formaggio; e la prima volta neanche volevano vendermelo. Lo prendono, aveva tentato di distanziarmi il casaro, ma poi ce lo portano indietro perché l’è tròp fort. Sei sicuro che lo vuoi?”
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Quando poi rileggi, anni dopo, è vivere tre volte, dico a Silvia.
Perché quando scrivo “come voglio io” - e non ci sono considerazioni, giustificazioni, “i lettori” che tengano; è una cosa individuale, interiore, intima, e non c’è nulla di male a che sia così; quando scrivo come voglio, come sento, come credo, in quel momento e in quell’atto sono io. L’io di quel momento, l’io che potrebbe cambiare come no, l’io onesto-e-sincero [onesto-e-sincero]; e quando mi rileggo anni dopo mi ritrovo, ritrovo il Davide che aveva provato quelle cose, annotato quei dettagli, che si era stupito, sorpreso, emozionato, incazzato, infervorato, commosso e tutta la gamma delle umane emozioni; e non mi capiterà mai di dirmi “non ero io”; ed è bellissimo.
E qualche tempo fa, in una newsletter americana qui su Substack, ho letto questa frase - una pacca sulla spalla: era qualcosa del tipo ho riletto tutta la mia vecchia roba, e la prima cosa che ho pensato è stata che mi meritavo un abbraccio, per averci messo tutta questa continuità, per avere tutti questi ricordi.
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E sempre Silvia mi dice che era tanto che non mi vedeva così concentrato e perseverante come con la mia newsletter; che sono undici mesi - calcoliamo a spanne - che non perdo una settimana; ed io altro non posso dire se non che è perché sono io, è la mia scrittura, è come la volevo, non devo fare piacere né moine a nessuno; e mentre me lo dice ci siamo appena lasciati alle spalle un laghetto basso e fangoso dalla cui superficie spuntavano come vertebre i moncherini dei rami del tronco gigantesco di una araucaria caduta; camminando, altre araucarie si spingono fuori dai bassi faggi arrossati, ingialliti dall’autunno, colonne gigantesche e squamate rivestite di tempo e licheni; il fanghetto sotto alle suole, la schiena della maglia termica fradicia di sudore, il fiato a nuvolette, lo sguardo a destra, di sguincio, per intercettare il cono perfetto, imbiancato e inanellato da nuvole di un vulcano da tremila e passa metri; poi un altro cono e anche un terzo cono, piatto in cima, un troncocono; il passo sempre più veloce perché il mirador è quasi qui e, nel secondo in cui mi fermerò in piedi sulle ultime rocce, le araucarie, il sudore, il fiato e il fanghetto e i coni e i troncoconi e le parole di Silvia si mineralizzeranno nella testura del ricordo.
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No ma cosa mi fai venire in mente con quella cosa dell’ultra fontina, Davide. Sto salivando.
PS Se sei qui da poco, probabilmente non hai letto il pezzo su LC, l’effervescente e mordace lupo cecoslovacco che ha riempito le nostre giornate aostane. Te lo consiglio:
Incudine in breve
Sono Davide Zambon, ghostwriter e scrittore. Incudine è la mia newsletter e queste sono sei notizie e informazioni utili su di me.
Puoi trovare il mio primo libro, Attraverso: come ho attraversato l’Islanda a piedi durante l’estate più piovosa degli ultimi trent’anni (2021, autoprodotto), su Amazon. Trovi altre informazioni su Attraverso qui.
Sto scrivendo il mio secondo libro, il cui titolo di lavoro è MPSP. Ne pubblico regolarmente estratti in questa newsletter. Sì, sto scrivendo anche 18 escursioni fighissime in Valle d’Aosta (titolo di lavoro).
In questo momento mi trovo in Sudamerica (ora in Cile, a Puerto Varas, nella Regione dei Laghi), a tempo quasi indefinito.
Sono il 50% di bagaglioleggero.it, blog di montagna, viaggi e nomadismo digitale in chiave alpina. Ci trovi anche su Instagram e nella newsletter mensile Fuori Traccia.
Per i miei servizi di ghostwriting, copywriting e per tutte le altre richieste, scrivi a davide@davidezambon.it
Questo sono io:
A giovedì prossimo!
Per fortuna non esistono persone che fermano gli sconosciuti per strada e fanno queste domande; e buon per voi che in ogni caso abbiano fermato me, che la Tête Blanche l’ho camminata.
Per il blog bagaglioleggero.it.